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Le tecnologie digitali stanno rivoluzionando non solo i tradizionali modelli organizzativi delle aziende, ma anche il concetto tradizionale di management. Mettendo in discussione il mito delle big corporation e di un lavoro con loro. Qualche riflessione per i giovani.

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In un mondo di volatilità, incertezza, complessità e ambiguità, solo i cosiddetti unicorni tecnologici (start up che hanno superato $ 1 miliardo di valutazione) hanno adottare un modello “post-gerarchico”. Il documento strategico sulle risorse umane dell’Amministratore Delegato di Netflix, Reed Hastings, è diventato virale e rappresenta la pietra miliare di un nuovo modo di fare organizzazione e management che esce dalla Silicon Valley. L’elevata complessità non deve essere gestita con processi standard e regole rigide: ad esempio in Netflix, ciascuno si attribuisce le vacanze autonomamente, non c’è obbligo di rapporti sulle spese di viaggio, la burocrazia ed i processi di fatto non esistono.

Tradizionalmente, il management è un processo di gestione e controllo di cose e persone. Questa definizione evidenzia molte contraddizioni con i nuovi modelli culturali delle nuove generazioni e le aziende che non sapranno rinnovarsi e aprirsi al cambiamento resteranno al palo, perdendo soprattutto l’opportunità di reclutare talenti che fuggiranno da procedure e burocrazia. Steve Jobs ha colto tutti alla sprovvista quando ha detto: “Non ha senso assumere persone intelligenti per dire loro cosa fare; assumiamo persone intelligenti in modo che possano dirci loro cosa fare”. Il lavoro creativo, innovativo e sperimentale non è assolutamente adatto alla gestione manageriale, alle procedure, alla burocrazia.

Sono saltati tutti i modelli: ciò che prima era noto come confusione, oggi è diventata resilienza, cioè la capacità di adattamento positivo all’ambiente in rapida evoluzione, allo scopo di affrontare, gestire e usare a proprio vantaggio l’incertezza!

Direttori, Presidenti e Top Manager, così come sono concepiti oggi e trasmessi dall’immaginario collettivo aggiungono molto meno valore di una volta, perché limitano l’innovazione e soffocano la creatività nel perseguimento dell’ordine e delle regole.

Consapevolezza di contesto, visione periferica, pensiero laterale e approccio multi-tasking (fare più cose contemporaneamente) sono i veri must di un’azienda. Il manager deve diventare un facilitatore: dirigere non significa assegnare compiti e monitorare le prestazioni, ma potenziare e collegare organicamente il lavoro di una squadra al resto dell’azienda, facendo esplodere i talenti.

L’apprendimento permanente è più importante di quanto non sia mai stato: l’idea di studiare da giovani, iniziare a lavorare e fare carriera in una sola azienda è morta da un pezzo! Le competenze cambiano continuamente e c’è un bisogno costante di aggiornamenti, in media ogni cinque anni circa.

Il futuro del lavoro non sarà mai più a tempo pieno: entro il 2030, i millennial avranno posizioni di rilievo, portando una mentalità radicalmente diversa, in cui non esisterà l’orario 9-17 o uno spazio fisso in un ufficio. Coloro che si laureano devono sapere come gestire il proprio sviluppo professionale, dovranno essere tecnicamente preparati, ma anche essere in grado di vendere se stessi, costruire una reputazione, gestire le aspettative dei clienti e negoziare accordi.

Le strutture saranno più piatte, donne e uomini potranno raggiungere il loro potenziale indipendentemente dalla razza, dall’etnia, dalla religione, dal paese di origine o dal paese di residenza. Le aziende hanno bisogno di cambiare il modo in cui guardano questo perché la generazione dei millennial le travolgerà e la generazione successiva sarà ancora più dirompente!

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