La Rivoluzione Digitale è anzitutto una rivoluzione culturale per come sta cambiando drasticamente i tradizionali modelli di lavoro.
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La gig economy è l’economia dei “lavoretti” e corrisponde a quei mestieri che una persona farebbe come secondo lavoro. Tuttavia, i profondi cambiamenti del mercato del lavoro per la Rivoluzione Digitale e le tecnologie emergenti stanno sovvertendo i tradizionali meccanismi del mercato del lavoro, per cui quei lavoretti stanno diventando lavori specializzati, gestiti da piattaforme e organizzati secondo un modello simile al lavoro “tradizionale” (che nel frattempo si sta comunque riducendo drasticamente!).
La gig economy è il mondo dei millennial, cioè la generazione di nati fra il 1980 ed il 1995, che stanno imprimendo una spinta propulsiva molto forte al cambiamento. I Millennial stanno ridisegnando i confini e i modelli tipici del mercato del lavoro in termini di aspettative, modalità, competenze. La caratteristica più forte di discontinuità con il passato è l’estrema flessibilità: secondo uno studio fatto da Upwork, la più grande piattaforma di freelance in USA, il numero di americani freelance è salito del 60%, tra il 1997 e il 2014. Secondo un sondaggio condotto da Deloitte, quasi un terzo dei Millennial in tutto il mondo preferisce il lavoro indipendente al lavoro a tempo pieno.
Posto fisso, stabilità, tempo indeterminato sono uscite dal vocabolario dei Millennial (se mai ci sono entrate!), che, al contrario, vivono le opportunità scatenate dalla Rivoluzione Digitale: siti web realizzabili gratuitamente, domini Web in vendita a meno di $10, profili social configurabili come vetrine virtuali in pochi minuti. Questi fenomeni hanno poi trovato una cassa di risonanza incredibile con gli smartphone, che hanno radicalmente cambiato il modo in cui le persone interagiscono nella vita personale come in quella lavorativa.
Il 2007 sembra uno spartiacque: in quell’anno, Apple lancia il primo iPhone, seguita poi da altre aziende, cambiando per sempre il modo di comunicare ed interagire attraverso un dispositivo. Il cambiamento è stato così forte che la generazione successiva ai Millennial, cioè i nati dopo il 1995, viene qualche volta chiamata iGen, perché tutti hanno avuto una cosa in comune: la loro infanzia o adolescenza coincisa con l’ascesa dello smartphone, che ha significato chat, social, giochi, app. I giovani toccano il telefono circa 100 volte al giorno ed il loro rapporto con la tecnologia è molto positivo, perché fonte inesauribile di opportunità.
Millennials e iGen saranno i veri leader del cambiamento: l’interazione con i membri di team molto diversi tra loro, la capacità di ascolto, la condivisione delle idee e del sapere, il rispetto per chi la pensa diversamente, la valorizzazione di prospettive diverse, la sensibilità a temi ambientali e alla responsabilità sociale, l’accentuata spinta all’imprenditorialità sono il loro karma. Tutto questo, calato in una cultura aziendale che spesso non è del tutto ricettiva a fattori culturali così nuovi e distanti dalla tradizione, può creare disastri: Millennial e iGen hanno bisogno di identificarsi nella vision di un’azienda per farla propria. Diversamente, lasceranno per cercare altrove la loro strada.
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