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Le tecnologie emergenti, come l’Intelligenza Artificiale, possono generare immenso valore innovativo per le Università ed il modo in cui formano i giovani, a condizione che escano dal loro ghetto dorato.

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Nel nostro tempo, quando è in pieno svolgimento la Quarta Rivoluzione Industriale, stiamo assistendo ad una radicale trasformazione del modo in cui viviamo e lavoriamo. Questa trasformazione sarà sensibilmente diversa dalle precedenti per la velocità e l’ampiezza del cambiamento.

Il sistema che, in modo più suggestivo di altri, incarna questa trasformazione è l’Intelligenza Artificiale, le cui applicazioni e innovazioni sono di fatto infinite.

L’intelligenza artificiale può e deve contaminare le idee con esperienze provenienti da campi diversi tra loro, unendo problemi che richiedono la collaborazione fra discipline diverse.

L’Intelligenza Artificiale ha lanciato in un certo modo una sfida alle #università, che spesso sono più santuari della cultura che laboratori di innovazione, quando invece dovrebbero spalancare le porte alle tecnologie digitali per formare i leader di domani.

In particolare, la tecnologia sta costringendo le università a supportare un approccio sempre più multidisciplinare: con la creazione e la fusione di discipline a velocità elevata, ha poco senso insegnare entro i confini rigidi di una disciplina che potrebbero presto non esistere più.

Le strutture delle università tendono ad amplificare le divisioni fra dipartimenti, centri di ricerca, dottorati e così via. In altri termini, ciascuno tende culturalmente (e non solo) a coltivare il proprio orticello, quando avremmo bisogno di un pensiero ampio per affrontare le grandi questioni che non possono essere impacchettate in campi preordinati.

In un mondo digitale, la separazione fra discipline umanistiche e tecnologia ha portato il rischio che la tecnologia sia vista come la soluzione definitiva piuttosto che come uno strumento per migliorare l’esistenza umana. Una strada che le università possono perseguire è lo sviluppo di strutture accademiche che coprono le tradizionali divisioni disciplinari: ad esempio, l’Institute for Manufacturing dell’Università di Cambridge offre agli studenti una raccolta interdisciplinare di competenze in materia di gestione, ingegneria, tecnologia e politica che riguardano la produzione; la Cranfield University ha organizzato i suoi dipartimenti attraverso temi focalizzati sulla specialità come sistemi di trasporto, agri-food, energia per offrire soluzioni reali alle grandi sfide che le aziende devono affrontare.

D’altra parte, la #contaminazionedelleidee e la #condivisionedelsapere sono alla base del progresso in ogni campo umano.

Isaac Newton, nella sua a lettera a Robert Hooke nel 1675, diceva: “Se ho visto più lontano, è in piedi sulle spalle di giganti.”

Basta guardare al periodo della Prima Guerra Mondiale, ed al successivo boicottaggio contro gli scienziati, che ha portato a un declino nella produzione di nuove ricerche e scoperte, per comprendere l’importanza della contaminazione e condivisione di idee e di innovazione.

Le Università devono essere i motori del cambiamento tecnologico dirompente, e svolgere il ruolo di change maker allo scopo di creare opportunità che rendano la società resiliente al terremoto digitale in atto, contribuendo a fornire le competenze che servono a qualificarsi (per gli studenti) o a riqualificarsi (per colori i cui lavori sono stati influenzati negativamente).

L’intelligenza artificiale può potenziare e amplificare quello che le università già fanno, a condizione che sappiano uscire dal sistema di gabbie dorate che hanno costruito!

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