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The story of my book – Capitolo 7: l’innovazione disruptive in marketing e comunicazione

Di Dicembre 13, 2019 Nessun commento

La comunicazione digitale oggi significa una comunicazione personalizzata di massa, con una relazione “peer to peer” con il brand. Come dimostra il caso Pietro Coricelli.

Tempo di lettura: 3,20 m.

Il processo di trasformazione digitale sta cambiando radicalmente marketing, comunicazione e pubbliche relazioni. Il punto non è solo come l’azienda può raggiungere i clienti, ma anche come i clienti possano raggiungere l’azienda o i suoi concorrenti. La nuova frontiera delle comunicazioni di marketing e delle pubbliche relazioni implica una relazione peer to peer con il brand. Nessun programma di marketing può agire da solo, senza una componente digitale significativa. Le cifre digitali sono sempre più impressionanti:

  • 5,11 miliardi di utenti mobili unici al mondo (su circa 7,5 miliardi di persone);
  • 4,39 miliardi di utenti Internet;
  • 3,48 miliardi di utenti social media;
  • 6,49 ore al giorno su Internet nel 2018 (rispetto a 6,10 minuti nel 2014).

I social network hanno cambiato per sempre il  modo in cui comunichiamo ed il modo in cui le aziende interagiscono e rendono fedeli le community di clienti. Le cifre social sono ancora più impressionanti:

  • Facebook con i suoi 2,121 miliardi di utenti;
  • Instagram, acquistato da Facebook nel 2012 per $ 1 miliardo, con 894,9 milioni di utenti;
  • Snapchat, con i suoi 306,5 milioni di utenti;
  • Twitter, con i suoi messaggi o tweet di 280 caratteri e i suoi 250,8 milioni di utenti;
  • LinkedIn, acquistato da Microsoft nel 2016 per $ 26,2 miliardi, con i suoi 604,4 milioni di utenti.

(Digital 2019: WeAreSocial).

I contenuti “social” sono sempre più basati su video poiché i video sono molto più ingaggianti e coinvolgenti rispetto a immagini o testi statici. Ad esempio, nel 2018, le query più cercate su YouTube sono state musica, film e bambini.

In questo scenario di comunicazione radicalmente trasformato, il caso Pietro Coricelli è particolarmente interessante. Fondata nel 1939 a Spoleto, nel cuore verde d’Italia, è oggi una delle più grandi aziende olivicole in Europa, con un’esportazione in oltre 110 paesi in tutto il mondo. In Italia, il gruppo è al 6 ° posto con una quota di mercato del 5,3% (vs 9° posto nel 2017), superando brand storici come Bertolli (7° posto con 4,3%).

Nel maggio 2015 viene pubblicato un test basato su degustazione di un panel, senza alcuna analisi chimico-fisica al fine di valutare se l’olio fosse vergine o extra vergine, per mostrare che molti marchi vendevano per olio extra vergine di oliva quello che in realtà era semplice olio di oliva. Il brand Pietro Coricelli era tra questi e fu l’inizio di un vero incubo esploso poi il 10 novembre 2015, quando il Dott. Guariniello, della Procura di Torino, avvia formalmente un’indagine su 6 marchi con l’accusa di frode commerciale. Lo scandalo è stato un brutto colpo per l’azienda: blocco commerciale di 1 anno in Cina, vendite in rapido calo, crollo della reputazione. Alla fine di questa brutta avventura, l’azienda ha dimostrato la sua totale innocenza in tribunale perché qualsiasi tipo di test sulle bottiglie ha avuto un riscontro positivo (corrispondenza tra qualità ed etichetta). Inoltre, la società è stata anche in grado di vincere contro l’Autorità Antitrust, giudicata colpevole per la mancanza di ulteriori e approfonditi controlli rispetto al test non corretto.

L’impegno dell’azienda è stato essenzialmente volto a ricostruire la fiducia e la reputazione attraverso una strategia di comunicazione ben progettata ed eseguita ispirata ad una trasparenza totale. Oltre ai media tradizionali, la società ha lanciato una rete di food blogger per aumentare l’atteggiamento positivo nei confronti del marchio. Tuttavia, la società e Chiara Coricelli, l’attuale CEO (direttore commerciale all’epoca), si rendono presto conto che la strategia di post dei prodotti non era sufficiente. La questione richiedeva uno sforzo diverso: l’azienda doveva parlare di sé e del brand soul, la sua anima, molto più del prodotto stesso. A tal fine, il board decide di costruire un forte riferimento per il marchio e di “presentarlo” come un essere umano: l’uso del cognome di famiglia; i valori, come famiglia, innovazione, giovane, quotidiano, facile; un volto da dare all’azienda (la scelta ricade su Chiara: donna, giovane, moglie, madre, manager).

Chiara, in qualità di brand ambassador, ha iniziato a raccontare una storia: la storia di un marchio di famiglia e della sua gente. Quando “I racconti di Chiara” vengono lanciati nel luglio 2016, superano rapidamente le 100.000 visualizzazioni nel primo mese. Con essi, Chiara racconta le storie della sua regione, le tradizioni, le ricette, le tendenze, i rimedi naturali, l’uso cosmetico dell’olio o le ricette tradizionali rinnovate, usando come set la cucina di casa sua!

Il risultato più rilevante è stata la crescita poderosa dell’azienda nel 2018: + 1,9% contro -3,9% del mercato nel 2017-2018, la più grande crescita dell’intero settore.

Come ci sono riusciti?

  • La vision: la capacità dell’azienda di coinvolgere tutti in uno sforzo coordinato rivolto a recuperare fiducia e reputazione.
  • La resilienza: la forte capacità dell’azienda di trarre un atteggiamento positivo da questo apparente disastro.
  • Lo story-telling: quando Chiara ha deciso di collegare il suo volto al marchio dell’azienda, si è trattato di un rischio enorme, ma il mercato ha apprezzato il processo di identificazione completo tra azienda e persone. La “personificazione del brand ” è stato il vero fattore chiave di successo.

Tale strategia di comunicazione ha generato un potente riposizionamento con un’immagine ed una reputazione più forti. L’autenticità delle storie ha toccato la parte emotiva delle persone. I racconti hanno reso il marchio un vero essere umano, con valori, credenze e comportamenti. E il mercato sta premiando l’azienda!

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