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In Italia, esiste ancora una cultura inadeguata, non solo per le competenze, ma anche e soprattutto per l’incapacità di abbracciare il cambiamento in atto, invece di subirlo.

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Il 2019 dovrebbe annunciarsi come un anno di accelerazione nella trasformazione digitale. La legge di bilancio ha attivato importanti misure per incentivare l’adozione di tecnologie digitali e per l’innovazione.

Un rapporto causa-effetto che però non è scontato perché i cambiamenti tecnologici implicano un necessario cambiamento culturale: ad esempio, saper usare abilmente le informazioni diventerà una competenza chiave.

A fine 2018 il Censis fotografava un Paese arrabbiato, disorientato e pessimista, dove la sfiducia è sistemica e il rapporto fra italiani e Internet è controverso. La percezione diffusa è che il web si sia trasformato nel posto dove sfogare il proprio individualismo e che, da mezzo democratico e aperto a tutti, sia diventato un luogo di fake news e propaganda selvaggia, che ha anche dissolto le certezze lavorative. Parallelamente, l’innovazione e la tecnologia stanno disegnando un nuovo orizzonte di professioni, che ancora siamo incapaci di vedere e di formare.

Il nostro è un Paese dove le aziende faticano a trovare alcune figure chiave in grado di innovare i prodotti e i servizi, mentre la carenza di competenze digitali le rende meno competitive, rallentando la ripresa economica.

L’economia digitale sta portando un passaggio da un modello organizzativo verticale e chiuso ad uno orizzontale e aperto, in cui dovrebbe essere più facile attrarre talenti perché le competenze contano più dei ruoli e i vincoli organizzativi e di orario sono sostituiti dagli obiettivi e dal coinvolgimento. Un nuovo approccio lavorativo, in cui le persone contribuiscono all’attività aziendale sulla base delle proprie competenze e non solo in base al proprio ruolo. Su questo scontiamo un’impreparazione culturale siderale: le nuove modalità di lavoro – indipendente, svincolato da una sede fissa di lavoro, da poter svolgere ovunque grazie a una connessione al web sono viste come l’ennesimo strumento di precarizzazione e di sfruttamento. Del resto, si dichiara ottimista solo un italiano su tre (dati Censis): manca un’idea di futuro e si ha la sensazione di subire il cambiamento. Al contrario, l’adattabilità, la propensione al cambiamento e la capacità di apprendere rapidamente saranno gli asset su cui fare leva e che ci permetteranno di riprogettare il nostro futuro lavorativo e personale: perché al di là delle leggi, degli incentivi e dei finanziamenti, sono la forza e l’iniziativa di ciascuno di noi a trainare uno sviluppo vero e duraturo.

Gli italiani sono stati sempre grandi geni creativi: la rivoluzione digitale dovrebbe essere la grande chance di rilancio del nostro paese!

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