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Il Ministro dell’Istruzione Bussetti scende in campo con una circolare che riaccende il dibattito sui compiti a casa!

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Ha fatto discutere una circolare del Ministro per l’Istruzione, Marco Bussetti, per convincere i professori a diminuire i compiti per le vacanze e consentire così ai bambini di avere più tempo da trascorrere con i propri genitori. In un incontro con il Garante per l’infanzia, il Ministro ha dichiarato “Vorrei sensibilizzare il corpo docente e le scuole a un momento di riposo degli studenti e delle famiglie “. Una dichiarazione che innesca ed alimenta la contrapposizione netta tra chi plaude al gesto e chi invece accusa il dicastero di voler rendere i giovani più ignoranti. Del resto, i compiti a casa per le vacanze estive o di Natale sono un vero tormentone con schieramenti tra chi è a favore e chi invita i professori a non strafare.

L’argomento è spinoso anche all’estero. Secondo una ricerca del 2012 dell’OECD, sul carico medio settimanale di compiti a casa (senza però informazioni sul carico per le vacanze), i più oberati sono gli studenti russi, con 9,7 ore settimanali di lavoro da fare a casa, seguiti proprio dall’Italia, con 8,7 ore di media, gli USA, con 6,1 ore. Gli studenti più “avvantaggiati” e leggeri di carico sono i finlandesi, con una media di circa 2,8 ore di compiti a settimana, che sono anche tra i più dotati per comprensione del testo e matematica, diventando così un caso emblematico di basso carico di lavoro e alti risultati. Poi c’è la Corea del Sud, con appena 2,9 ore settimanali, cui però vanno ad aggiungersi circa 15-20 ore di attività extrascolastiche (inglese, matematica, coding).

Sebbene i dati siano da interpretare con estrema cautela per l’oggettiva difficoltà di misurazione e per l’aumento dell’uso di internet per i compiti da parte dei ragazzi, si tratta di una fotografia abbastanza emblematica. Avevo letto recentemente di una domanda fatta su debate.org che chiedeva agli studenti se era corretto assegnare compiti per le vacanze e solo il 18% aveva risposto sì. A parte la domanda poco felice perché è come chiedere ad un barbiere se si ha bisogno di un taglio di capelli, il problema è diffuso. I compiti a casa significano tempo tolto al gioco, alla famiglia, alla spensieratezza. Inoltre, implicano anche la necessità di una famiglia in grado di supportare lo studente e continuare il processo di apprendimento iniziato a scuola, con il rischio di creare iniquità sociali. Per questo motivo, nei paesi più avanzati, come in Scandinavia, si evita di usare i compiti a casa, e quello che si deve fare lo si fa a scuola rendendo così gli insegnanti gli unici responsabili del processo di apprendimento.

Il problema dei compiti a casa trova eco in altri elementi incongruenti della scuola, come il sistema dei voti: non si può classificare una prestazione scolastica perché non si può classificare un processo di apprendimento. Oltre ad avere evidenti implicazioni motivazionali che non sempre sono adeguatamente gestite, il voto è un numero o una lettera del tutto vuoti di significato e valore. L’apprendimento è un processo costante e continuo, basato sull’interazione forte dei ragazzi. Se si vuole “sfruttare meglio” il loro tempo libero per educarli, allora ha molto più senso coinvolgerli in attività extrascolastiche come musica, disegno, sport, lingue, coding, e soprattutto le attività che generano impatto sociale. I futuri leader, governativi o di impresa, devono essere soprattutto leader sociali, perché non esiste crescita economica senza sviluppo sociale.

La formazione vera è esperienziale, non nozionistica!

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